CRISTINA
ANNA: Dove sei cresciuta?
CRISTINA: Sono cresciuta con mia nonna e mio padre a Campogalliano in provincia di Modena, mia madre se n’è andata via quando avevo quattro anni, ha deciso che aveva sbagliato ed è andata a rifarsi una sua vita. A diciotto anni sono venuta a Milano per restarci ma ho un’esistenza lì, quando mi capita di andare al cimitero di Campogalliano sento sempre delle fortissime emozioni, hanno il mio cognome, hanno la mia faccia.
A: Perchè hai deciso di fare l’ostetrica?
C: Non avevo connessione col materno, mia nonna era un accudimento molto alimentare, ho deciso di fare l’ostetrica per il legame che si crea con le donne, per la cura dei propri figli e per far si che ciò non facesse abbandonare il proprio bambino.
A: E hai trovato dei legami profondi a lavoro?
C: Assolutamente, un legame molto grande è quello con la mia maestra ostetrica, da sempre ha visto le mie qualità più belle apprezzando il mio essere.
A: Qual’è stato il tuo percorso?
C: Avevo bisogno di uscire di casa, di avere un’indipendenza economica. Un tempo se si nasceva da una famiglia disfunzionale, la società ti dava molte più opportunità per metterti in riga, se mia mamma se n’era andata mio padre era un maniaco depressivo e ad un certo punto ho capito di voler andare via e basta. Ho iniziato a lavorare in ospedale che non avevo ancora 16 anni, ho iniziato a fare l’infermiera, le cose erano diverse da come sono ora e ho lavorato facilmente da subito. Il primario mi aveva consigliato di fare ostetricia e io neanche lo immaginavo dato che il primo parto che avevo visto ero svenuta…ma così è andata, era proprio il mio.
A: Vedi dei cambiamenti grandi nella tua pratica rispetto a quando hai iniziato a lavorare?
C: Si, in generale è in continua evoluzione come tutto. Quando ho iniziato io c’era ancora il vecchio metodo, la donna doveva partorire in una determinata posizione, il bambino veniva portato via subito e non c’era lo skin to skin, era troppo medicalizzato.
Spostandosi all’ospedale di Sesto ho capito che lì qualcosa stava cambiando, abbiamo fatto la rivoluzione, dicevamo alle donne di scendere dal letto e di mettersi nella posizione in cui avvertivano meno dolore perché quella era la posizione che aiutava il loro bambino e noi seguivamo loro.
A: E ora come si è evoluta l’ostetricia?
C: Piano piano ho visto distruggere tutto, questa città è nemica dei bambini, non ci sono più servizi, nasce un bambino e nessuno lo sa, sono fantasmi a volte…quando ho iniziato a lavorare ogni mese arrivava la lista con i bambini nati nel quartiere e noi andavamo a trovarli tutti, a prenderci cura delle nuove mamme. Ora ci sono tante pratiche burocratiche che spesso mi sento quasi sotterrare…
A: E pensi di dover condurre il tuo lavoro diversamente ora?
C: Sono un po’ anarchica, non riuscirei a non vedere le mie mamme per tanto tempo solo perchè la burocrazia dice così, so che non possono stare senza di me per dieci giorni. Non sono mai andata d’accordo con chi non riesce ad empatizzare, al di là dei nuovi regolamenti io cerco sempre di dare tutta me stessa.
A: Speri in un’altra rivoluzione?
C: Certo, anche se mi sento un po’ sola alle volte nel mio pensiero, le ragazze giovani ora le sento un po’ distanti, rigide, ma per questi ultimi anni che mi rimangono prima di andare in pensione vorrei riuscire a congiungerci, a creare connessioni, a far capire loro che prima dei documenti da compilare c’è bisogno di dare attenzione al dettaglio…all’aiuto profondo, sincero.
A: E tu come ti sei sentita a diventare mamma?
C: La parte più facile è il partorire, il dopo invece…mi vedevo da bambina, pensavo a come era stata mia madre, come non volevo essere. E’ un grandissimo percorso di crescita.